Trump e Biden trionfano nel Super Tuesday e si preparano per la sfida delle elezioni di novembre.

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SUPER TUESDAY: LA FOTO DELL’ASSETTO POLITICO

Come se ce ne fosse bisogno, i risultati finali del Super Tuesday (il martedì-monstre che, ogni quattro anni, manda al voto il maggior numero di Stati americani, ben 15, per le primarie dei rispettivi partiti in vista delle presidenziali) fotografano un assetto atteso, se non scontato. Una plastica raffigurazione anticipata di quello che dovrebbe prodursi nei prossimi mesi: l’ufficializzazione delle candidature dei due frontrunner per la Casa Bianca, gli stessi che si sfidarono nel 2020. Vale a dire, il presidente in carica, Joe Biden, 81 anni, Commander in Chief dopo essere stato vice di Barack Obama tra il 2008 e il 2016 e naturaliter ricandidato per un secondo mandato, senza rivali a ostacolarne il percorso.

Dall’altro lato della “barricata”, Donald Trump, 77 anni, presidente tra il 2017 e il 2021, miliardario newyorkese passato alla politica dopo decenni di affari, investimenti, speculazioni immobiliari e avventure televisive. E, aggiungiamo, attualmente implicato in decine di procedimenti giudiziari, con oltre 90 capi d’imputazione ma, ciononostante, considerato eleggibile dalla Corte Suprema a guida repubblicana (nella cui composizione, tra l’altro, Trump stesso ha avuto un ruolo determinante, nominandone ben tre componenti).

Si è votato in Maine, Alaska, Alabama, Arkansas, Minnesota, Colorado, Tennessee, Oklahoma, Massachusetts, Texas, California, Utah, Virginia, Vermont e North Carolina. E già martedì prossimo si torna alle urne con una nuova serie di primarie, in Georgia e Mississippi. Ma, per ottenere la nomination ufficiale, bisognerà attendere le rispettive Convention (il GOP a Milwaukee a luglio, l’Asinello ad agosto a Chicago), l’appuntamento finale in cui gli aspiranti candidati accettano l’investitura da parte dei delegati eletti proprio col sistema delle primarie.

LE ECCEZIONI DEL VERMONT E DELLE SAMOA AMERICANE

Intanto, si comincia a ragionare sui risultati che affluiscono dai vari Stati: al momento, il tycoon ha totalizzato 995 delegati, avvicinandosi al traguardo dei 1.215 necessari e conquistando 14 dei 15 Stati in palio. C’è da sottolineare la vistosa eccezione del Vermont (di cui Bernie Sanders è senatore da 17 anni), dove Nikki Haley ha prevalso col 50%. Ma è notizia di poco fa, attribuita alla CNN, secondo cui l’ex rappresentante degli Stati Uniti alle Nazioni Unite si ritirerà proprio oggi dalla corsa senza appoggiare direttamente Trump.

Biden ha vinto a mani basse in tutti gli Stati in cui si è votato: per lui, 1.501 delegati (la soglia per la nomination ufficiale è 1.968 su 3.934). Ma, anche in questo caso, si è notato un dato in controtendenza: nelle Samoa americane, dove si celebravano i caucus, il presidente in carica è stato battuto dallo “sconosciuto” Jason Palmer, che ha prevalso per 51 voti su 91, conquistando i quattro delegati in gioco.

LE TENDENZE: DALLA SCONTENTEZZA DELLA COMUNITÀ ARABA PER BIDEN ALL’ELETTORE SEGRETO CHE TRADIREBBE TRUMP

A parte queste “note stonate”, tuttavia, il Super Tuesday è stato dominato senz’ombra di dubbio da Biden e Trump, che hanno raccolto un gran numero di delegati. Entrambi hanno conquistato anche i due Stati che ne hanno il numero più alto, la California (169) e il Texas (161); ma proprio nel Golden State si è riscontrata una bassissima affluenza, appena l’8%: un dato da non sottovalutare, che rischia di avere implicazioni anche nei mesi futuri.

Si comincia, quindi, a tirare le fila e a evidenziare tendenze, flussi e dati emergenti: a partire dal voto di protesta per Biden da parte degli arabo-americani con simpatie democratiche, scontenti della gestione diplomatica del conflitto in Medio Oriente. Una scontentezza verso l’inquilino della Casa Bianca che si riscontra anche nei giovani e nella comunità afroamericana. E ciò a dispetto dei forti contrasti tra Biden e Netanyahu sul cessate il fuoco, sulla gestione degli aiuti ai civili e sulla soluzione due popoli-due Stati, su cui è il premier israeliano ad essersi messo di traverso.

In campo repubblicano, alcuni analisti – a partire da Peter Spiegel del Financial Times – hanno evidenziato le alte percentuali ottenute da Nikki Haley in alcuni Stati come Michigan, Iowa, South Carolina e New Hampshire. Vale a dire, i classici swing-State, fortini elettorali altalenanti per antonomasia e non affiliati in modo granitico a un partito specifico, ma che poi si rivelano determinanti per assegnare la vittoria finale. Il ragionamento è il seguente: dal momento che in questi Stati Haley, pur avendo perso, è arrivata intorno al 30% dei consensi, per Trump potrebbe non essere così facile ottenere la vittoria. Lo spauracchio è quello dell’Elettore Segreto, che tradisce, appunto, nel segreto dell’urna; una sorta di franco tiratore che si registra come repubblicano e vota GOP ma, nel chiuso dell’urna (dove “Dio ti vede e Trump no”), nega il voto al frontrunner.

I COMMENTI DEGLI SFIDANTI

Il miliardario ha festeggiato la vittoria dal resort di Mar-a-Lago, in Florida, dove ha parlato di “una notte fantastica, un giorno fantastico”, senza nominare Haley. “Lo chiamano Super Tuesday per un motivo” ha gongolato Trump, mettendo in chiaro che “faremo qualcosa che francamente nessuno ha mai fatto da molto tempo”. È poi tornato sui temi a lui cari, come quello dell’immigrazione, per cui ha ribadito che si tratta di una “invasione”.

Biden, dal canto suo, ha sostenuto l’importanza di evitare una rielezione del tycoon: “Questa è una (opportunità) che capita una volta ogni generazione, per noi, di essere in grado di resistere e affrontare l’estrema divisione e violenza dei repubblicani”. Riferendosi a Trump, Biden ha chiarito che “il modo in cui parla, il modo in cui ha agito, il modo in cui ha affrontato la comunità afroamericana, penso sia stato vergognoso”. “I risultati di stasera – ha aggiunto il presidente – lasciano al popolo americano una scelta chiara: continueremo ad andare avanti o permetteremo a Donald Trump di trascinarci indietro nel caos, nella divisione e nell’oscurità che hanno definito il suo mandato?” ha chiesto retoricamente in un comunicato, chiamando i suoi elettori a sostenerlo da qui ai prossimi mesi, puntando a una crescita del suo indice di gradimento che comunque resta basso (pur essendo ancora in vantaggio su Trump 48 a 43%).

Il voto del 5 novembre, insomma, si prevede sul filo di lana e molto serrato, deciso forse da decine di migliaia di voti negli Stati-chiave. Anche in casa democratica: la scorsa settimana, in Michigan, più di 100mila elettori hanno votato “uncommitted” (voto di protesta), mentre ieri in Minnesota sono stati circa 45mila, il 20%.

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