Un giorno in Giappone tutti potrebbero avere lo stesso cognome, a meno che le leggi restrittive sul matrimonio non cambino. A dirlo è un nuovo studio, come riportato dalla Cnn, che ha analizzato il fenomeno collegandolo anche all’andamento demografico del Paese.
A differenza della maggior parte delle principali economie del mondo che hanno eliminato questa tradizione, il Giappone richiede ancora che le coppie sposate condividano lo stesso cognome. Normalmente, le mogli prendono il nome del marito e i matrimoni tra persone dello stesso sesso non sono ancora stati legalizzati a livello nazionale.
Nel Paese però si sta formando un movimento per cambiare le regole sui cognomi, guidato da quanti difendono i diritti delle donne e da coloro che cercano di preservare la diversità dei cognomi giapponesi in una nazione in cui alcuni di questi stanno diventando sempre più comuni.
Cosa dice lo studio sui cognomi giapponesi
Infatti, come emerso da una ricerca di Myoji Yurai, società che traccia gli oltre 300mila cognomi del Giappone, Sato è attualmente il più comune (così si chiamano circa 1,8 milioni di persone sui 125 abitanti del Paese), seguito da Suzuki. Takahashi arriva terzo.
Yoshida, il cui cognome è all’11esimo posto tra i più comuni, è stato incaricato di svolgere la ricerca dal “Think Name Project”, un gruppo che chiede modifiche legali per consentire alle coppie di mantenere entrambi i cognomi. Il professore lunedì 1 aprile ha presentato il suo ultimo lavoro e ha ammesso che la sua proiezione reggerebbe solo se il paese riuscisse a superare un altro ostacolo: il costante calo del tasso di matrimoni che sta mettendo in crisi il Paese.
Yoshida ha anche sottolineato nel suo studio che la popolazione del Giappone potrebbe ridursi notevolmente nel corso del prossimo millennio, a causa anche del calo del tasso di natalità. “La possibilità che l’etnia giapponese si estingua è alta”, ha aggiunto.
La crisi dei matrimoni e delle nascite in Giappone
Secondo i dati ufficiali, il numero di matrimoni in Giappone è diminuito di quasi il 6% nel 2023 rispetto all’anno precedente, scendendo sotto i 500mila per la prima volta in 90 anni, mentre i divorzi sono aumentati del 2,6% lo scorso anno.