Controversia influencer cinese: storia inventata e conseguenze severissime

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Influencer Con 30 Milioni Di Followers Bannata Dai Social: Il Suo Post Virale Era Inventato

Con 30 milioni di followers Thurman Maoyibei era una delle influencer più seguite in Cina. Era, appunto. Sabato scorso, 13 aprile, quando le autorità hanno bloccato i suoi account sulle più importanti piattaforme social – TikTok Douyin, Weibo e BiliBili – ora non più raggiungibili. La polizia ha confermato che la donna (e la sua azienda) rischiano sanzioni amministrative, che potrebbero variare da un semplice avvertimento fino alla detenzione.

Ma cosa è successo?

Thurman Maoybei (il cui vero cognome era Xu, come rivelato dalle autorità di Hangzhou) si è inventata la storia di un ragazzino cinese che, in vacanza a Parigi, aveva perso i quaderni dei compiti. Nello specifico, mentre la stessa donna si trovava in Francia per il Capodanno lunare, il personale di una caffetteria le avrebbe consegnato i libri appartenenti a uno studente di prima elementare di nome Qin Lang. Lei ha promesso di riportarglieli in Cina.

Maoybei ha così mobilitato i proprio follower per rintracciare il ragazzino tramite una serie di reel, diffusi sulle varie piattaforme a partire dal 16 febbraio. La storia è diventata virale e alcuni hashtag promossi dalla influencer hanno guadagnato milioni di visualizzazioni su Douyin e Weibo.

A quel punto alcuni giornali locali hanno chiamato le scuole nella speranza di trovare il ragazzo, solo per sentirsi dire che nei registri ufficiali quel nome e quello scolaro semplicemente non esistevano.

Ma ad una settimana dalla pubblicazione del primo video, Xu ha detto di essere entrata in contatto con i genitori del bambino e che i libri erano stati restituiti. Il troppo clamore intorno alla vicenda ha portato all’intervento della polizia di Hangzhou e così è venuta fuori la verità: era tutto falso.

La influencer si è poi scusata e ha detto di avere inventato la storia a causa della sua “leggera coscienza giuridica” e di essere dispiaciuta di “avere avuto un’enorme influenza negativa”.

“Chiedo ai colleghi di imparare dalla mia lezione e di non creare o diffondere mai contenuti falsi. Lavoriamo insieme per mantenere un ambiente online pulito e sano”, ha aggiunto.

La donna però ora rischia grosso. Il Ministero cinese della Pubblica Sicurezza ha definito il caso come un “tipico esempio” del perché le stesse autorità del Paese asiatico finiscono per reprimere diversi contenuti online. Sebbene gran parte della censura online si concentri su contenuti politici legati soprattutto ai dissidenti, negli ultimi anni la Cina ha cominciato a reprimere anche diversi altri tipi di post. Da dicembre, “oltre 1.500 persone sono state arrestate in relazione a voci online ed ad oltre 10.700 persone sono state inflitte sanzioni amministrative”, afferma il ministero.

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